lunedì 30 luglio 2007

Il buco nero causato da immigrazione e associazioni assistenziali

Dal quaderno n° 2 di Polaris L'immigrazione, a cura di Francesco Amato, Pietro Battistella, Francesco Boco, Paolo Caioli, Maria Teresa Ferazzoli, Andrea Forti, Vincenzo Pino, Augusto Ricci, Adriano Scianca - coordinatore: Gabriele Adinolfi (pp. 6-8).

Buco nero e banda del buco


L’immigrazione è un paradiso o un inferno?

A questa domanda, certuni, fermi sulle loro convinzioni ideologiche, rispondono che si tratta di un paradiso, o perlomeno di un paradiso possibile. Altri la considerano un inferno. Di certo, benché non sia assolutamente coretto impostare così la questione, un paradiso non è.

Non è un paradiso in Italia, come vedremo; e non lo è di sicuro all’estero.

In Francia trent’anni e più di legislazione pro-immigratoria forse hanno inizialmente aiutato le imprese ma poi hanno finito col costare, non solo socialmente (il vulcano delle banlieues è oramai sempre acceso con quel che ne consegue in brutalità criminose) e culturalmente (la regressione culturale e linguistica da massificazione si è rivelata sorprendente) ma anche economicamente.

Il debito pubblico transalpino al 2006 conta ben 80 miliardi di euro di passivo per il sostentamento degli organismi sociali. Si pensi a questo proposito che subito
dopo la rivolta delle banlieues del novembre 2005 i fondi per le associazioni assistenziali ai banlieusards che dovevano inizialmente essere ridotti sono stati immediatamente raddoppiati!
Ben più rivelatorie le cifre della Germania.

Gli immigrati disoccupati, solo in termini di sussidio pubblico, sono costati 45 miliardi nel quinquennio 2000-2005 e questo in misura progressiva, visto che nel solo 2005 il costo ha superato i 10 miliardi e mezzo di euro. L’assistenza familiare pesa per 18,5 miliardi all’anno. L’assistenza sociale in Germania è per oltre i due terzi appannaggio degli immigrati, l’ottanta per cento dei quali beneficia dell’assistenza senza versare alcun contributo ed ha diritto a cure mediche, ricoveri in ospedale e in case di riabilitazione a titolo gratuito. 16 miliardi di euro all’anno sono investiti per cercare di approntare sistemi scolastici che permettano in qualche modo la riduzione del gap culturale. I detentori del titolo di “diritto d’asilo” comportano altri 50 miliardi di euro annui sulle casse tedesche.

Queste cifre inducono a riflettere.

Esse fanno giustizia di un luogo comune del tutto campato in aria: quello secondo il quale
l’immigrato, in quanto forza-lavoro, rappresenterebbe una risorsa che consentirebbe di rifondere, con i suoi contributi, i capitali dell’assistenza sociale in nazioni come la nostra in tendenza alla denatalità: per il momento invece, e significativamente in paesi dall’immigrazione lungamente radicata, avviene l’esatto contrario.
Le cifre ci attestano ancora un altro dato: e cioè che l’immigrazione costa molto alla collettività in termini economici.

C’è però un terzo dato sul quale non si è soliti soffermarsi ma che è capitale, strategico.
Del buco nero causato alle casse del paese esistono numerosi beneficiari; associazioni di aiuti all’emigrato, assistenti sociali, funzionari vari i quali, uniti tra loro a rete e organizzati in stile lobbistico, impongono ai politici il perseverare una politica di sprechi di cui i loro organismi, la cui struttura parassitaria è inequivocabile, beneficiano economicamente. E, visto il perpetrarsi di un insuperabile disagio, i loro esponenti di spicco ne beneficiano anche politicamente o personalmente in quanto sono considerati “esperti” e, agendo come indiscussi mediatori, acquisiscono un’influenza sempre maggiore che si rivela monetizzabile.

L'immigrazione
(Polaris), pp. 6-8

Fatti d'Europa

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